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07/2015 - YOUNG FALCONS - LIPU Padova

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SARA, IL BUIO E L'INCANTO

Pubblicato da Carlotta Fassina in racconti · 23/7/2015 09:34:00

Era ormai abituata ad accompagnare i suoi genitori nelle grotte, alla ricerca dei pipistrelli. Sapeva che loro li studiavano per proteggerli. Erano fatti così, i suoi; i compagni di scuola li consideravano strani e per questo Sara assumeva in pubblico una cert’aria di rassegnazione ma si gongolava di aver fatto e visto cose che i suoi compagni si sognavano.
Questa volta però erano partiti tutti e tre di sera e l’idea un po’ l’elettrizzava, ma non l’aveva detto perché a 12 anni la noia era in agguato e non si fidava dei gusti degli adulti.
Avrebbero mangiato un panino vegetariano che si erano preparati allo scopo ed avrebbero atteso il buio.
Il difficile era intanto trovare la stradina giusta da percorrere in auto, tra carrarecce tutte uguali che finivano nei prati. La povera auto arrancava e dondolava tra sassi e buche. Finalmente ecco lo spiazzo familiare, si poteva parcheggiare.
Sara sperava di ritrovare un’amica, una cavalla scura e docilissima che aveva già visto. Non c’era purtroppo, al suo posto una cavalla bianca con il suo puledrino che l’osservavano a distanza, per nulla attirati dall’erba offerta. Peccato! Lei adorava i cavalli.
Le ombre cominciavano a farsi lunghe e il sole, abbassandosi, creava bellissimi contrasti di colori che andavano via via smorzandosi. Faceva ancora caldo in quella sera di luglio.
Per arrivare alla grotta il sentiero da percorrere a piedi si faceva via via più stretto e il bosco scosceso succedeva ai prati, bisognava scendere piano e tenersi ai tronchi degli alberi nei punti più difficili. Rimpiangeva di non aver dato retta a sua mamma quando le diceva di indossare i pantaloni lunghi perché ora i pungitopo le davano fastidio alle gambe.
Eccola la grotta, una ventata di aria fresca usciva dalla sua bocca scura, un vero sollievo. Sara sapeva com’era dentro per esserci già stata, conosceva il tratto da fare rannicchiati, le camere, il pozzo pericoloso da cui tenersi lontana e le volte cariche di gocce di umidità che scintillavano alla luce della torcia. Questa volta non sarebbe entrata per non disturbare le mamme dei pipistrelli e i loro piccoli, suo papà avrebbe posizionato una telecamera all’uscita per contare gli adulti in transito senza disturbarli.
In quel silenzio, col sole che se ne andava e i profili verdi delle montagne, Sara si sentiva contenta. Il panino l’aspettava e ormai era l’ora di azzannarlo. Per far passare il tempo, con dei legnetti e dei sassi giocava a tris con i suoi.
All’arrivo del primo buio, ecco delle piccole sagome sfarfallare fuori dalla grotta verso gli alberi: erano dei Rinolofi maggiori e minori, dei pipistrelli specializzati nel catturare insetti proprio tra le piante. Qualcuno sembrava voler sostare sopra le loro teste e passava vicino alla faccia. Sara era divertita, sapeva che non si sarebbero attaccati ai capelli e che non l’avrebbero toccata, ma nel contempo immaginava che le sarebbero andati dritti contro il viso. I rinolofi invece conoscevano la zona attorno la grotta alla perfezione e non avrebbero mai urtato contro una persona.
All’improvviso un rumore ripetuto provenne da sopra la grotta, dove c’erano delle piccole cavità e una sporgenza. Che cos’era? Sembrava un piccolo di rapace notturno che chiamava i genitori. Vuoi vedere che questi erano in attesa di papparsi i pipistrelli? Eh no! Che andassero a mangiare topolini stavolta, non certo le mamme chirottero! Poi ecco, qualcosa di piccolo si muoveva sulla sporgenza, saltava e si spostava agilmente sugli alberi nella direzione di Sofia e dei suoi genitori. Uno, due, tre e lì in fondo ce n’era un altro. Piccoli, scuri, con la coda folta, non erano scoiattoli, erano ghiri! Ecco i versi di prima, degli altri versi ancora e dei soffi che Sara stavolta riconobbe perché erano gli stessi di un ghiro giovane che avevano curato. I pelosetti si chiamavano evidentemente tra loro e di albero in albero scendevano verso la profonda e ormai scura vallata sottostante.
Distratti dai ghiri gli intrusi a due zampe avevano dato le spalle alla grotta da dove ora provenivano sagome nuove, stavolta così veloci che lo sguardo le intercettava per un attimo. Erano come bagliori e nel loro volo producevano lievi fruscii con le ali.
Il bat detector, lo strumento per leggere gli ultrasuoni dei chirotteri, parlava chiaro: erano miniotteri, quei pipistrelli dall’ala stretta che volavano anche a 55km all’ora e che percorrevano lunghe distanze. Quanti! Eccoli, decine e decine, finalmente uscivano come se qualcuno avesse ordinato loro di farlo. Sara era incantata dalla loro velocità, dal loro numero e dal fatto che nessuno cozzava contro gli altri, come ci riuscivano? E assieme a loro altre specie di pipistrelli, i Myotis e i rinolofi di prima, ognuno con la sua velocità e traiettoria. Lontano la pianura con le sue luci produceva un alone diffuso che rendeva per un attimo visibili i pipistrelli in volo, poi essi sparivano nel buio, come passassero in una dimensione diversa attraverso una porta invisibile. Chissà dove andavano.
Sara sentiva il suo cuore pulsare e avrebbe voluto proteggere quelle creature che sembravano spiriti buoni, incompresi, sconosciuti. La famiglia era attorniata e contenta di esserlo, i tre stavano seduti per non disturbare quegli esseri che sicuramente li avevano percepiti, ma non li consideravano una minaccia. Sembrava che i pipistrelli avessero dimenticato secoli e secoli di persecuzioni subite da parte dell’uomo, la sua ostilità, il fatto di essere stati immaginati come creature del male.
Per cercare di dare una spiegazione a questo illogico atteggiamento, Sara rifletteva sul fatto che il buio non era certo l’ambientazione naturale per l’uomo e lei lo sapeva bene finché guardava quel bosco scuro, testava i limiti dei suoi sensi e immaginava che qualcosa avrebbe potuto assalirla all’improvviso. Un’istintiva paura legata al passato, al tempo in cui, per l’uomo, dal buio dovevano venire davvero dei pericoli; forse il pericolo maggiore per l’uomo però sono sempre stati i suoi simili e la sua insensata aggressività…
Per un attimo sembrava che qualcuno camminasse tra le foglie seccate dal caldo. Fiuuu!!!! Ancora ghiri! Illuminati con la torcia stavano fermi un attimo e poi scappavano. Mi avete fatto prendere spavento, pensava Sara.
Ormai il flusso dei pipistrelli in uscita dalla grotta andava esaurendosi, mentre qualcuno vi rientrava, forse ad assicurarsi che i piccoli stessero bene. Era finito il loro compito di studio, ora potevano tornare a casa.
Il pensiero correva a quei minuscoli corpicini addossati l’uno all’altro che la grande grotta proteggeva sotto gli occhi vigili di qualche mamma, in attesa che le altre tornassero ad allattare i loro figli, riconoscendoli tra migliaia. Un brivido percorse Sara: non era il buio a spaventarla ma il timore che qualcuno potesse fare del male a quegli affascinanti animali, anche solo disturbarli, anche solo accendendo un fuoco all’ingresso della grotta, come le tracce di cenere testimoniavano.
I tre si misero a risalire il pendio, estasiati da quanto visto, in silenzio.
All’arrivo ai prati un nitrito sembrava introdurli al mondo degli uomini e degli animali domestici, quando … il lampo di due occhi e il rumore di una fuga veloce attirarono l’attenzione della ragazza, che era quasi certa di aver intravisto un cinghiale. Era così? I suoi non avevano fatto a tempo ad accorgersene. Gli alberi che contornavano i prati continuavano a mettere un po’ di soggezione. E la mamma di Sara di colpo urlò: <<un lupo!>>, silenzio, Sara era rigidamente ferma. <<Ma no, che sciocca!>>, aggiunse la mamma ridacchiando. Sara voleva strozzarla e le lanciò un’occhiataccia. Ma che lupo e lupo! era un qualche arnese del trattore che aveva fatto un bagliore, illuminato dalla torcia. <<Mi hai fatto prendere un colpo!>>, disse Sara. << Eh sì, stai a vedere che il lupo voleva mangiarsi proprio te che sei in braghette corte!>>. Tutti risero, ma il tempo che li separava dall’auto fu davvero molto breve. Finalmente al sicuro, e ora a casa!

Testo di Carlotta Fassina





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